QUANDO A MILANO LA MAMMA TI MANDAVA A PRENDERE IL LATTE (MA ANCHE LA SPESA!)
Se agli inizi degli anni ’60 una famosissima canzone di Gianni Morandi recitava “Fatti mandare dalla mamma a prendere il latte”, si può ben capire come le latterie e i negozi al dettaglio costituissero il capillarissimo tessuto di cui si animavano i quartieri cittadini. Le persone che vi abitavano si conoscevano tutte, spesso si stringevano in sorprendenti gare di solidarietà per far fronte a certi deficit familiari e tanto da mandare in serenità i bambini a giocare in strada o più utilitaristicamente per sguinzagliarli in piccole commissioni nelle vie più prossime al proprio condominio.
Questi cominciavano a punteggiare insieme alle vecchie abitazioni la nostra città, tanto presa dal boom economico e dalla propria espansione in larghezza e in altezza, e negozi e botteghe artigiane completavano un modo di vivere naturale in cui nel quartiere non solo si viveva, ma si produceva, si lavorava e si commerciava. Questo preambolo illustra un po’ sommariamente come fino agli anni ’80/’90, Milano abbia ospitato un commercio al minuto molto fiorente. La piccola distribuzione garantiva non solo derrate alimentari e generi di prima necessità per la vita quotidiana ma arricchiva i quartieri di caratteristica umanità, garantiva all’intero abitato quella rete e quel supporto tale da non farti sentire estraneo nel quartiere in cui si abitava. Oggi nessuno di noi genitori manderebbe i figli a fare la spesa dal droghiere, dal fruttivendolo, dal macellaio o tanto meno in latteria sotto casa, per il semplice fatto che non esistono più. Nessun bambino può più avventurarsi nella più vicina ferramenta per fare i primi esperimenti di bricolage o di giocattoli generati in autocostruzione. Per fare tutto ciò è necessario salire sull’auto dei propri genitori per raggiungere il centro commerciale più vicino, se proprio non si ha la fortuna di avere un supermercato o un punto vendita abbastanza rifornito per trovare nello stesso luogo tutto quello che testè ho menzionato.

Milano degli anni ’70: i tram sferragliano davanti alle vetrine dei marchi della grande distribuzione di allora.
Credo che, a ragion veduta, si possa affermare che nessuno dei nostri ragazzi abbia idea di come vivessero i propri genitori e tanto meno come fosse la propria città soltanto trent’anni fa poiché i cambiamenti del tessuto sociale e commerciale sono stati repentini e traumatici. Oggi quelle antiche botteghe sono talmente rare e uniche da doverle salvaguardare e tali da costringere il Comune di Milano o la Regione a etichettarle come “storiche”. Dal sito del Comune, che ha istituito un Albo per quelle con più di 50 anni, si legge che ciò è stato fatto con “l’obiettivo di tutelare e difendere quelle attività commerciali ed artigiane aventi un forte radicamento urbano tale da conferire valenza di bene culturale e a rischio d’estinzione”. Vi rendete ben conto da questa ultima frase come la prospettiva sia cambiata, dovendo ricorrere alla dicitura di bene culturale solo per salvare una tradizionale attività commerciale, quasi si trattasse di un museo o di una traccia del passato o più realisticamente di un bene in pericolo. Il Comune ne ha individuato ad oggi ben più di 300; sarebbe troppo lungo indicarvele tutte ma se siete interessati potete visitare la pagina di cui vi parlavo.
Qualcuno lo abbiamo visitato anche noi durante le nostre passeggiate, come nel caso dell’Ottica Chierichetti che con le sue foto d’epoca ha dato il via alla nostra fortunata serie della Milano che crea e distrugge; altre, pur non esistendo più, le abbiamo citate per dovere di cronaca per illustrare angoli di Milano cari ai lettori più anziani, come nel caso della pasticceria Motta. Altre ancora sono state oggetto di concorsi fotografici come quello proposto qualche tempo fa dal Corriere della Sera o quello promosso recentemente dalla Regione Lombardia in cui il negozio datatissimo deve essere oggetto di un modernissimo selfie! Tra le più antiche botteghe storiche cittadine non si può non citare la farmacia Ponte Seveso di via Schiaparelli, la cui apertura risale al 1888, o l’Antica Osteria del Ronchettino risalente agli anni ‘30, in via Lelio Basso; e ancora la storica Cartoleria Venezia, in Corso Venezia, i cui gli arredi sono inalterati dal 1936. Sì, anche gli arredi ci parlano della categoria merceologica esposta o di come avveniva il commercio al dettaglio. Ad esempio alcune vetrine altrettanto vecchie, in alcuni angoli storici di Milano, non hanno conservato lo stesso sapore all’interno, come la Farmacia Foglia, all’angolo tra Porta Romana e Via S. Sofia.
Ma qui più di ogni altro esercizio la mia personalissima segnalazione va all’Antica Trattoria Bagutto, un’antica osteria in fondo a Via Mecenate, nella località nota come Ponte Lambro, al limitare della città, proprio accanto all’ospedale cardiologico Monzino. Si tratta del ristorante più antico d’Italia e del secondo in Europa, dopo lo Stiftskeller St. Peter di Salisburgo. il suo nome compare in un documento di scambio di beni immobili datato al 1284. La sua collocazione, al quarto miglio della strada Paullese (via che collega da tempo immemore Milano a Cremona), nei pressi del Lambro, fa pensare che fosse già attivo in epoca romana.

L’antica osteria Il Bagutto, in Via Vittorini 4 (già Bonfadini), ritratta in un vecchio dipinto, riprodotto sulla copertina del menù di oggi
Sorgeva tra i campi punteggiati dalle cascine (quella al lato, nota come Bonfadini, peraltro è ancora attiva) e i mulini sulla roggia Spazzola. Nel tempo l’osteria assunse diversi nomi: “Hosteria dei Gamberi” nel Quattrocento, nel 1580 “Hostaria delle Quattro Marie alla Canova” (Canova era il nome del vicino podere). Nel 1807 vi avrebbe sostato Napoleone I quando nominò duca di Lodi il vicepresidente della neonata Repubblica Italiana, Francesco Melzi d’Eril. Nel 1894 fu acquistato dalla famiglia Mandelli, che la gestirono per tutto il XX sec. Oggi il menù è più sofisticato, ma la cucina è ancora invitante!
La struttura esterna è rimasta pressocchè intatta col portico sulla strada; all’interno un caminetto cinquecentesco, seppur rivisitato, arricchisce una delle salette interne originali, che mantengono ancora il sapore delle vecchie locande di una volta.
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