Chiuse, conche e barconi: silenzi e rumori del Naviglio di S. Marco

Esiste a Milano un luogo dove il tempo si è fermato al 1960 e dove consiglio di portare i vostri bambini per far vedere come funzionava il traffico a Milano, per circa sette secoli, prima che le strade con le auto invadessero tutta la nostra città. E’ una sorta di parco archeologico, non riconosciuto da nessuno, dove le opere idrauliche che governavano le acque del Naviglio si sono come fossilizzate, provenienti da un’epoca lontanissima, vecchia come il mito di Leonardo da Vinci. Questo posto antichissimo, e pure a noi vicino, è in fondo alla Via S. Marco, all’altezza di quel ponte che un tempo bucava le mura spagnole per farvi passare le acque della Martesana, provenienti dall’Adda.

Questo angolo di vecchia Milano ancora oggi è noto come Ponte delle Gabelle, poiché qui vi era (e c’è ancora) la garitta dove un esattore esigeva il pagamento di una tassa su tutte le merci e persone che, con i barconi, penetravano da Nord nel cuore della città. Ma la cosa più interessante, non è nemmeno questa: è il sistema di chiuse, progettate da Leonardo alla fine del XV sec. e ancora presenti poco più in qua, in un luogo noto come Conca di S. Marco o più precisamente dell’Incoronata, perché pare fosse stata scavata, per volere di Lodovico il Moro, sul sito di un cimitero adiacente alla vicina chiesa di S. Maria Incoronata (sull’attuale tratto finale di Corso Garibaldi).

In questo punto una serie di salti artificiali e di sbarramenti dovevano fare superare in maniera poco “traumatica” alle chiatte cariche di merci, il dislivello tra la Martesana e la cerchia interna dei Navigli, che proprio all’inizio di Via S. Marco, davanti all’omonima chiesa, riprendeva il suo placido scorrere nell’anello della fossa interna. Infatti l’acqua che si incanalava sotto il ponte suddetto raggiungeva le conche, che trattenevano una via l’altra, l’acqua attraverso la chiusura di portoni mobili, facendone innalzare il livello dove era intrappolato il barcone, per liberarlo poi nel tratto canalizzato successivo. Questo intanto si andava riempiendosi attraverso l’apertura di portelloni secondari sulla chiusa, comandati da chiavistelli mobili, azionati dall’alto.

nella foto a sinistra: La Conca di S. Marco con le chiuse come si presenta oggi (foto di Robert Ribaudo)

E qui sta l’intervento risolutivo di ingegneria idraulica di Leonardo da Vinci su chiuse già esistenti a Milano da più di tre secoli anche in altri punti, e con problematiche simili, su tutta la rete dei Navigli. Tali portelloni secondari permettevano cioè un afflusso di acqua sufficiente a equilibrare la pressione dell’acqua ai due lati del portone principale, agevolandone così l’apertura. Naturalmente i portoni ancora visibili in loco non sono quelli originali fatti posizionare dal genio fiorentino ma riproduzioni, realizzati fedelmente dopo la chiusura dei Navigli, e qui posti a imperitura memoria di quel che fu la Milano sull’acqua.

Disegno di Leonardo da Vinci con il portone della chiusa e i portelloni secondari della Conca di S. Marco (particolare dal Codice Atlantico)

Riprendendo l’ideale navigazione sulle imbarcazioni, tutto questo traffico con il relativo movimento di fluidi, aggravato anche dall’afflusso della canalizzazione secondaria delle rogge circonvicine, provocava più a valle pericolose cataratte e mulinelli, in un tratto che la gente chiamava Tumbun o Tombon, che era peraltro una sorta di fogna a cielo aperto. Tale luogo era talmente nefasto che il nome era entrato nell’immaginario collettivo, come luogo scelto dagli aspiranti suicidi, certi di incontrare morte certa.

quello che rimane del ponte sul Tumbun, all'incrocio tra Via S. Marco e Via Castelfidardo (foto di Robert Ribaudo)

Quello che rimane del ponte sul Tumbun, all’incrocio tra Via S. Marco e Via Castelfidardo (foto di Robert Ribaudo)

A questo punto i natanti entravano in un rettilineo (lungo l’edificio dove un tempo si affacciavano le rotative del Corriere della Sera) sfociante poi nel laghetto oblungo davanti alla chiesa di San Marco, dove attraccavano le barche, cariche di ghiaia, rotoli di carta, sale, laterizi e concimi.

Quadrante con il Laghetto di S. Marco e con l'innesto della Martesana nella fossa interna (dalla Carta di Milano di Giovanni Brenna, 1860)

Foglio di mappa con il Laghetto di S. Marco e con l’innesto della Martesana nella fossa interna (dalla Carta di Milano di Giovanni Brenna, 1860)

Il traffico su questo particolare tratto di Naviglio fu molto intenso per tutti i secoli successivi fino all’800. Infatti dal 1782, per volere del governo austriaco fu fissato un servizio settimanale di barche da S. Marco a Lecco! Ancora nel 1920 le rotative del Corriere della Sera di Via Solferino stampavano i giornali con le bobine che arrivavano dalla cartiera di Corsico, direttamente nei pressi del Tombon de San Marc. Insomma, era come una vera autostrada con i suoi TIR, i suoi rimorchi, i suoi caselli! Ma gli odori, la gente e i mestieri che vi gravitavano intorno avevano tutt’altro sapore. Persino i rumori e i silenzi in questo punto della città erano diversi: i mezzi meccanici in azione per l’apertura dei portelloni, lo sciabordio dei flutti sulle rive all’apertura dei portoni, gli schiamazzi dei gabellieri e dei barcaioli, ne facevano un posto dove venire a passare del tempo in allegria, fra ali di curiosi che mai si sarebbero persi lo spettacolo della conca in azione.

Vecchia foto con i bambini che fanno il bagno all'ingresso della Martesana al Ponte delle Gabelle. Dietro si scorgono le Cucine Economiche in angolo dell'attuale Via Melchiorre Gioia.

Vecchia foto con i bambini che fanno il bagno all’ingresso della Martesana al Ponte delle Gabelle. Dietro si scorgono le Cucine Economiche, in angolo con l’attuale Via Melchiorre Gioia.

Si pensi poi che d’estate ancora nel dopoguerra, i bambini della zona venivano a fare il bagno presso il Ponte delle Gabelle dove le acque erano limpide e temperate, non ancora lordate dai liquami cittadini, che si riversavano in ogni dove nella fossa interna. Alla fine del XIX sec. venne persino costruito un bagno popolare con stabilimento balneare pubblico. Ma già dal terzo decennio del XX sec. proprio i problemi igienici, oltre a quelli di circolazione e di traffico dovuti all’avvento delle automobili, furono i fattori scatenanti che fecero propendere per la chiusura dei canali cittadini. Ormai le industrie che prelevavano grandi quantità d’acqua, dopo le lavorazioni ne riversavano altrettanta, ormai difficilmente depurabile. I miasmi, specie d’estate saturavano l’aria. Milano era orami troppo grande e popolosa per conservare se stessa come era sette secoli prima. La copertura qui arrivò negli anni ’60 e la conca divenne un’area abbandonata, un terreno brullo dove tanti ragazzini continuarono però a giocare e a crescere, lontano dal traffico cittadino.

Il canale in asciutta con al di sopra l'area giochi cintata e bonificata negli anni '70

Il canale in asciutta con al di sopra l’area giochi cintata e bonificata negli anni ’70 (foto di Robert Ribaudo)

 

 

 

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One comment, add yours.

ciabattinasx

Adesso ho anche capito perché il Tumbun de San Marc si chiama così! E’ uno dei primi posti dove mi hanno portato degli amici quando sono arrivata a Milano, e il nome mi risultava esotico e assai poco attaente… grazie!

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