Milano distrutta… e poi ricostruita.
Questa nuovo appuntamento, ci catapulta d’un balzo nel Medioevo, quando gli imperatori germanici avevano ancora il sogno di un Sacro Romano Impero e i comuni italiani cercavano di rendersi autonomi da Federico I, detto il Barbarossa. In questi giorni cade peraltro la triste ricorrenza in cui l’imperatore germanico lanciò l’anatema contro Milano (1 marzo 1162). Tale evento fu per lui talmente determinante da annullare il calendario cristiano, così da far riniziare la datazione storica dal giorno in cui concepì la distruzione della città (cosa che poi si compì a partire dal 29 marzo successivo).
Tutti sappiamo come Barbarossa volesse soffocare le spinte autonomistiche dei comuni lombardi. Ma in queste aspirazioni di indipendenza, Milano, in quanto ricchissimo centro commerciale, crocevia obbligato per chi attraversasse la pianura padana e per chi calasse sull’Italia da nord, era la più accanita. L’imperatore, sentitosi oltraggiato per la mancata sottomissione della città alle sue innumerevoli richieste, già nel 1160 si era mosso verso la città della pianura, per cingerle d’assedio. Nello stesso anno, per ironia della sorte un violento incendio iniziato a Porta Comasina si diffuse rapidamente per Milano: le case di Porta Romana vennero incendiate e distrutte fino al fossato. Fu l’occasione così, per rinforzare le Porte a est e a sud (da dove presumibilmente ci si aspettava un attacco) e per innalzare sulla Porta Romana una rocca per la difesa civica. Solo nel 1162, dopo un lungo assedio, l’arco (che allora era situato dove oggi c’è la Crocetta di Porta Romana) cadde, e con esso la città. Le devastazione furono violentissime, l’intero abitato fu raso al suolo, i saccheggi e le brutalità memorabili. I pochi sopravvissuti furono costretti a riparare nelle campagne. Barbarossa aveva diviso la città in tanti distretti quante erano le truppe alleate da soddisfare e ad ognuna di queste aveva dato carta bianca per distruggere e accaparrarsi qualunque cosa. Ad esempio ai lodigiani, che per l’occasione si erano schierati con l’imperatore, fu dato l’incarico di distruggere la parte orientale della città (Porta Venezia e dintorni). Ma essendo di stanza a ridosso del Naviglio, non paghi, aiutarono i cremonesi a devastare il sestiere di Porta Romana. Le truppe si allocarono allora nei pressi dell’attuale Corso Italia, tanto che ancora oggi in ricordo di quella lugubre presenza, una piccola traversa, che corre parallela alla cerchia del Naviglio, prende il nome di Campo Lodigiano.
Le truppe tedesche, invece si stanziarono nei pressi dei monasteri più ricchi per gozzovigliare con le ricche dispense dei monaci. Gli eserciti di invasione lasciarono la città quando tutto fu devastato, rubato o assalito. La città non esisteva più!! Solo col 1164 si ebbe una reazione: tutto mutò quando la città di Cremona, da sempre fedele all’imperatore, gli si rivoltò contro, creando con Crema, Brescia, Bergamo, Mantova e Milano (o meglio i milanesi, dato che non avevano più una città!) la Lega cremonese, poi Lombarda, grazie al presunto Giuramento di Pontida del 7 aprile 1167. Ad essa si unirono subito Parma, Piacenza e Lodi, e anche papa Alessandro III diede il proprio appoggio. La lega si cementò intorno ad alcuni simboli, tra cui un enorme carro, detto Carroccio. Forse i milanesi l’avevano visto per la prima volta in Terra Santa al seguito di Ottone Visconti, durante la Prima Crociata (alla fine del XI sec.), usato per portare il “sacro legno” (la presunta vera croce di Cristo, poi rivestita di una lamina d’oro), come vessillo di protezione contro gli infedeli. L’uso risulta già consolidato con le crociate successive dalla meta del sec. XII, come ben documentato nel film Le Crociate di Ridley Scott.
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E’ certo che Milano, ne costruisce uno nel 1037, grazie al vescovo Ariberto d’Intimiano, che lo usò per cementare la città contro un altro imperatore tedesco, Corrado II, che aveva tentato di assediare inutilmente la città. L’uso del carro era diffuso soprattutto in pianura, dato che le dimensioni della sua struttura erano tali da renderne particolarmente difficile l’impiego sui pendii. Per tirare il carro da guerra occorrevano da tre a quattro paia di buoi, perché il pianale era tanto alto da permettere al capitano d’armi di controllare lo svolgimento della battaglia e al tempo stesso tanto robusto da resistere agli attacchi dei nemici e alle insidie dei campi. Le descrizioni concordano pure nel menzionare per ciascuno dei carri un pennone alto 15 metri dove era issata la croce, e una campana ( la “martinella”) che serviva a scandire i tempi del trasferimento e a chiamare a raccolta gli armati durante la battaglia; in tutti i casi il pennone serviva a reggere il vessillo crociato dell’esercito raccolto attorno al Carroccio (diventerà non per niente lo stemma di Milano – croce rossa in campo bianco). Un altare con un crocifisso inoltre era posto solitamente alla base del pennone: sul carro infatti si celebrava la messa, e la croce svettante sull’albero rendeva tangibile la presenza di Dio a fianco dei combattenti.
Con tali simboli, le città lombarde si rimisero in marcia, per andare incontro al Barbarossa, che aveva mostrato di nuovo propositi belligeranti. Tra le truppe alleate militava un condottiero, noto dalle cronache come Alberto da Giussano, ma la cui esistenza non è del tutto chiara. La sua figura sul campo di battaglia appare infatti per la prima volta solo in una cronaca della prima metà del XIV sec., scritta per compiacere Galeazzo Visconti, signore di Milano. Alberto venne descritto come il cavaliere che si distinse nella battaglia di Legnano del 29 maggio 1176 per aver guidato la Compagnia della Morte, un’associazione militare di 900 giovani cavalieri scelti con il compito di difendere fino alla morte il carroccio, simbolo della Lega Lombarda, contro l’esercito di Federico I Barbarossa. All’imperatore toccò una disastrosa sconfitta, della quale massimi artefici furono, non a caso, i milanesi.
I Comuni lombardi e Milano riacquistarono le libertà, necessarie per garantirsi un futuro di prosperità. Il Carroccio verrà portato nella cattedrale, allora S. Tecla ( il Duomo sarà concepito ben 2 secoli dopo!) ed esposto in tempo di pace, presso la porta maggiore, come segno della concordia cittadina. Tale simbolo verrà sostituito dallo stendardo con l’effige di Sant’Ambrogio solo nel 1285, e rimarrà come gonfalone della città, fino ai giorni nostri.
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[…] della storia milanese, certo Galdino della Sala, arcivescovo di Milano dal 1166 al 1176, durante il sacco del Barbarossa, che tanta morte e distruzione aveva portato in città. Essendo la città distrutta ed evacuata, viene consacrato a Roma per mano di Alessandro III e poi […]
[…] la precisa sedimentazione di una città sviluppatasi sulle rovine della città romana prima e delle distruzioni del Barbarossa […]