Con quelle barricate un po’ sgarrupate… a Milano è successo un ’48!
Oggi, dopo i recenti festeggiamenti del 150° dell’unità italiana (ricorrenza che si fa cadere proprio il 17 marzo!), come da molti anni a questa parte avviene, ci apprestiamo ad assistere ad una manifestazione insolita in città, in realtà un piccolo segno. Domani fate notare ai vostri bambini le bandierine sventolanti sui tram, proprio sopra la testa del conducente. Perché questa non è solo una storia italiana, ma soprattutto milanese! Martedì, infatti ricorrerà l’anniversario delle Cinque Giornate di Milano, che hanno reso gloriosa la nostra città tra il 18 e il 22 marzo 1848, aprendo la strada alla I Guerra d’Indipendenza.
Fu una lotta di liberazione dall’oppressione straniera, presente per quasi quattro secoli sulle nostre terre, continuamente depredate per alimentare le guerre di espansione degli altri. Naturalmente ai nostri bambini non interesseranno queste vicende, che avranno tempo di studiare a scuola, ma forse interesserà sapere come una popolazione di civili riuscì a tenere testa e a cacciare un vero esercito, comandato dal temibile maresciallo austriaco Radetzky. I milanesi montarono già dalla seconda giornata (19 marzo) barricate dappertutto, distribuite in egual misura, su tutto il tessuto cittadino, allora caratterizzato da stretti vicoli ad andamento quasi mai rettilineo, con case una addossata all’altra, con corti interne chiuse e con stretti passaggi.
E come si dice ormai a titolo proverbiale… E’ SUCCESSO UN ’48! Perché mai come in quella occasione la battaglia, e ancor più la resistenza, venne organizzata tirando in ballo davvero ogni cosa a portata di mano! Nei quartieri ricchi si adoperavano carrozze, mobili di valore, eleganti sofà, letti, specchiere; nei quartieri mercantili, botti, telai, pompe, casse d’imballaggio; nei quartieri poveri il misero giaciglio, i tavoli, l’incudine, gli sgabelli; fuori dalle chiese, panche e sedie, con pulpiti e confessionali; presso il seminario, pagliericci e materassi; presso le scuole i banchi e le cattedre; presso i teatri, macchine, troni, corone, scenografie. Le barricate sorsero ovunque in città ed alcune erano davvero singolari: quella di Porta Venezia, ad esempio era fatta con i lastroni di granito dei marciapiedi, mentre quella di piazza Cordusio, la più strana, era stata costruita con i libri presi dall’Ufficio del Bollo, lì nei pressi. Ma occorrevano anche le armi, per questo furono messe a disposizione le collezioni dei nobili, che spesso conservavano ancora le armerie degli avi.

Armeria del nobiluomo Ubaldo invasa dagli insorti. Questa è una residenza nobiliare ancora esistente all’inizio di Via Pantano. Dipinto di Carlo Bossoli
Furono svaligiati i musei, si recuperò qualsiasi arnese contundente e se ne inventarono di nuovi; dalle finestre intanto pioveva di tutto, dall’olio bollente alle tegole. Capite come era dura per un esercito filtrare tra i vicoli, per mettere ordine fra questo trambusto, tanto che lo stesso Radetzky si mostrò profondamente sorpreso dal carattere forte e unitario della rivolta, cui parteciparono tutti i ceti e qualunque abitante, anche i bambini, come vi abbiamo illustrato in un precedente articolo. L’impressione per gli austriaci fu tale da far dire a Radetzky che “il carattere di questo popolo sembra cambiato come per il tocco di una bacchetta magica”.
Ma una città da sola non poteva tenere testa a lungo ad un esercito ben organizzato, munito di cannoni, per farsi strada. Si fece ricorso allora ai lanci di rudimentali palloni aereostatici, per informare le campagne e spingerle a intervenire in ausilio della città assediata. Quello che successe il quinto giorno, il 22 marzo, mentre l’esercito austriaco organizzava la fuga dalla città per organizzare un’offensiva da fuori, ha dell’incredibile! L’idea vincente per assaltare le posizioni fortificate austriache dell’allora Porta Tosa ( l’attuale Porta Vittoria, così chiamata solo dopo la cacciata degli austriaci nel ’48), arrivò da un certo Antonio Carnevali, professore di scuola, ex militare napoleonico. Propose di avvicinarsi usando delle barricate mobili costituite cioè da fascine di tre metri di diametro, bagnate per prevenire incendi, che i milanesi avrebbero dovuto far rotolare davanti a sé per ripararsi dai proiettili austriaci. All’alba, gli austriaci lasciavano la città da Porta Vittoria!
Oggi, a ricordo di quella memorabile sollevazione di massa abbiamo due luoghi simbolo sull’inizio e sul finire della direttrice del Corso di Porta Vittoria. Il primo è la colonna al Verziere, (oggi noto come Largo Augusto). Già punto di sosta devozionale fu poi ripensata nel 1860 come Colonna della Vittoria, per dedicarla ai caduti del ’48 milanese, i cui nomi sono impressi in una targa in bronzo imbullonata sul basamento. Il secondo luogo della memoria sta alla fine dell’asta del Corso, sulla Piazza V Giornate, appunto, dove l’obelisco, innalzato nel 1895, al posto della vecchia Porta Tosa, ci ricorda di questa splendida prova di unità dei milanesi. Ma non tutti sanno che la parte più interessante del monumento sta sotto il livello della piazza (che potete vedere nel video sottostante) dove una camera sepolcrale, intorno alle fondamenta ospita un sacrario, dove furono trasportate le spoglie dei 600 caduti, conservati per quasi 50 anni all’Ospedale Maggiore!
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One Trackback
[…] Questi saranno smantellati solo nel 1805, in occasione dell’incoronazione di Napoleone. Durante i moti del 1848, Radetzky, fuggito pricipitosamente si barrica qui, per dirigere le operazioni militari. Alla fine […]