Palazzo Marino: le mille e una leggenda.

Abbiamo già visto , nella scorsa uscita, come Piazza della Scala sia stata il frutto della sistemazione di un palazzo rimasto incompiuto per secoli e ammantato di misteri e curiosità.

La storia della dimora voluta dal banchiere genovese Tommaso Marino è segnata da infinite legende, sin dall’inizio: la prima vuole la sua costruzione legata all’amore del conte Marino per Ara, una nobil donna veneziana incontrata in S. Fedele, degna di una abitazione di pari fasto ad un edificio veneziano, come dettavano le condizioni del padre, per poter ottenere la sua mano. In quei giorni venne composta una canzone che a Milano ancora qualcuno ricorda: «Ara, bell’Ara discesa Cornara, de l’or fin, del cont Marin strapazza bardocch, dent e foeura trii pitocch, trii pessitt e ona massoeura, quest l’è dent e quest l’è foeura» (Ara, bell’Ara della famiglia Cornaro, dai capelli di oro fino, appartieni al conte Marino strapazza preti, dentro e fuori di casa ci sono tre bravi, con la mazza e i tre pesciolini, questo e dentro e questo e fuori). Da questo amore nacque Virginia, che sposò in seconde nozze Martino de Leyva, nipote di Antonio de Leyva, il primo governatore spagnolo di Milano. Dai due, che abitavano a palazzo Marino, nascerà nel dicembre 1575 (o nel gennaio 1576), pensate un po’, Marianna, la futura “Monaca di Monza” di manzoniana memoria. Un altro figlio del banchiere fu oggetto di un altro scandalo della Milano del XVI sec., avendo ucciso la moglie, tanto che dopo il successo ottenuto dai Promessi Sposi, intorno alla famiglia Marino erano già sorte delle leggende, che, confondendo i protagonisti dell’autentico dramma, attribuivano all’anziano Tommaso l’uxoricidio commesso in realtà dal figlio. A questo delitto, che sarebbe avvenuto in una fantomatica villa di Corbetta, si ispirano alcuni drammi e racconti romantici. Un’altra legenda vuole la costruzione del palazzo, legata ad una maledizione lanciata da un detrattore dell’usuraio Marino, per cui il frutto delle sue rapine si sarebbe trasformato in rovine (così fu dopo la bancarotta del conte, lasciandolo incompiuto, espropriato prima dagli spagnoli per i debiti accumulati dagli eredi e infine confiscato dagli Austriaci nel 1706).

Vecchia stampa riproducente il prospetto su Piazza S. Fedele, per secoli la facciata principale del palazzo

Vecchia stampa riproducente il prospetto su Piazza S. Fedele, per secoli la facciata principale del palazzo

Tale edificio tardo rinascimentale era stato concepito nel 1558  dall’architetto (che lavorava fino ad allora a Genova!) Galeazzo Alessi, per essere collegato col Duomo, sull’asse che passava davanti alla facciata principale (che in origine era quella che prospetta su San Fedele e non quella su Piazza Scala, quella rimasta per secoli incompiuta!), da Via Case Rotte alla trasversale dell’odierna Via Marino: anticipazione, seppur spostata di un isolato, della Galleria Vittorio Emanuele! Anche il cortile d’onore era stato concepito come sala aperta con accesso dalla stessa asse. Altro momento epico anche per la storia d’Italia, fu il periodo risorgimentale, quando il palazzo, già sede del Dazio e Tributi, nel 1848 divenne sede del Governo Provvisorio. Durante durante le V Giornate, diviene anche la redazione del giornale “Il 22 Marzo, organo ufficiale del Governo provvisorio. Lo dirige Carlo Tenca. Memorabile rimase anche, durante questo convulso periodo il discorso di Gabrio Casati, presidente del Governo provvisorio, che affaciatosi dal balcone sul lato di Piazza S. Fedele accoglieva i 150 volontari napoletani, reclutati e guidati da Cristina Trivulzio di Belgioioso. Dopo i moti, alcuni repubblicani contrari all’annessione della Lombardia al Piemonte invadono il palazzo e strappano la sciarpa al presidente Casati. Ma l’annessione Lombarda al Piemonte passa a maggioranza.

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La facciata su Piazza Scala, nel periodo post-unitario, dopo la demolizione delle catapecchie che ne ostruivano la vista

Con l’Unità d’Italia e la demolizione delle catapecchie antistanti per creare Piazza Scala, si mette mano alla facciata principale: nel 1892 l’arch. Beltrami, lo stesso che restaurerà il Castello Sforzesco, decide di completare la quinta riproponendo la copia del prospetto che si affaciava da secoli su Piazza S. Fedele, dove oggi campeggia la statua del cantore della vita della Monaca di Monza: Alessandro Manzoni

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  1. […] posta nel 1883, nel decimo anniversario della sua morte. Ma piazza S. Fedele non è solo il luogo manzoniano per eccellenza, ha un altro primato: è il primo centro di Milano! Era infatti il cuore del grande […]

  2. […] 4- Palazzo Marino: le mille e una leggenda […]

  3. […] La radicata piaga dell’abbandono o la mala sorte nella vita  milanese d’un tempo, non era una prerogativa solo dei bambini poveri, come abbiamo visto con l’intervento della settimana scorsa. E allora che destino toccava ai minori dell’alta società cittadina? Partiamo dal presupposto che il fanciullo non aveva la stessa dignità dell’adulto. Era spesso un inciampo, mentre era una risorsa, in pratica, solo negli ambienti rurali e proletari. I figli erano spesso il frutto di unioni fuori dal matrimonio o un’indebita intromissione nelle politiche di spartizione dei patrimoni: era considerato più efficace per il prestigio della casata tenere per il primogenito la maggior parte delle ricchezze accumulate, e lasciare le briciole per i cadetti, tanto più se erano femmine, avviate alla vita monastica. E solo per alcune di esse si aprivano i forzieri di famiglia per avviarle alla carriera di abbadess…. […]

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